“Storie accanto al fiume” di Cristina Cicognini – Dopolavoro letterario n. 32
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“Storie accanto al fiume” di Cristina Cicognini – Dopolavoro letterario n. 32

“Storie accanto al fiume”, manoscritto inedito di Cristina Cicognini è un giallo delicato e ironico, colto e moderno ambientato nell’immaginaria Conaglia, cittadina del Basso Lodigiano, luogo tranquillo e pacifico, finché non viene commesso un efferato omicidio in una villetta di periferia. Sarà Arrigo Corvi, solitario commissario di polizia con un debole per Shakespeare, a condurre le indagini. Gli indizi non lo portano molto lontano da Adelaide Dolci, madre single in un periodo transitorio della vita. Le verità che verranno svelate saranno scomode e inconcepibili per lei, e quando anche un secondo cadavere viene rinvenuto non le rimane altro da fare che abbandonarsi alla corrente degli eventi.

(Questo è il secondo capitolo, la foto è dell’autrice)

2 (Dintorni)

Il fiume scorre tra le ampie sponde, sussurrando sogni di un paesaggio mai nato. Mai rinato. A nessuno importa di questo fiume imponente, di queste terre, vittime incolpevoli dell’agricoltura intensiva. Il colore di quell’acqua non lascia dubbi: ricorda i caffelatte dell’infanzia, con tanto di inganno, perché era orzo, mica caffè, a colorare quel latte, come qui, in questo fiume, è sporcizia, mica terriccio, a intorbidire le acque.

C’è un punto, poi, in cui il fiume forma un’ansa ampia, permettendo alla sabbia di farci nascere una spiaggia bianca che altrove sarebbe invitante. Qui è tanto fuori luogo da suscitare diffidenza.

È così anche con le persone, in fondo, no? Quando ne trovi una che risplende come un diamante, ti chiedi subito se non sia l’effetto di una luce troppo forte. Troppo bello per essere vero.

Il bello. Il brutto. La luce. Il buio.

Forse questo paesaggio è devastato perché altri possano risplendere al confronto. Lo sfacelo della natura dà prospettiva alla bellezza.

E quel nome. Po. Lascia in sospeso, come se dovesse arrivare un’altra porzione di suono per rendere la parola completa, ma in realtà non arriva mai.

Quei luoghi, poi… Basso Lodigiano, la Bassa, danno un alone di anti-esteticità.

Arrigo Corvi, ora in piedi sull’argine con la fronte verso il tramonto, si sforzava di vedere la bellezza anche in questa terra dove anni di incuria hanno sostituito una pianura incredibile con distese di capannoni.

Arrigo si sforzava di vedere la bellezza e trovare un senso al resto. È brutto il bello, e bello il brutto, voliam nella nebbia e l’aer corrotto. Ma Arrigo lascia andare questo presagio Macbethiano di sventura e si incammina sulla via del ritorno.

<<Jeeves, forza. Ora di andare. Tra poco qui non si vede più niente. Guardala, come sale dai campi, la nebbia.>>

Il suo inseparabile Bracco di Weimer lo raggiunse trotterellando, mentre non smetteva di annusare qua e là, sempre in cerca di qualche indizio interessante, proprio come il suo padrone, che da qualche mese aveva vinto il concorso per passare al grado di Commissario. Era stato poi affidato a Conaglia, nel cuore della Bassa. Dal di fuori si sarebbe potuto pensare che si trattasse di una promozione, ma sarebbe stato un tantino esagerato. Sì, certo, era commissario e non più ispettore, ma lo avevano spedito a Conaglia. Non a Milano, Torino, Roma… Conaglia, 34.302 abitanti. Non succede granché: qualche fermo per ubriachezza, qualche piccolo spacciatore da tenere d’occhio, i soliti furti nei periodi di vacanza. Insomma, routine. Ma Arrigo è contento, in fondo è nato in questi posti, conosce la mentalità della gente, e per un poliziotto è sempre un vantaggio sapere chi si ha a di fronte.

Certo, mai fare di tutta l’erba un fascio, ma la sua laurea in letteratura inglese di sicuro lo aiuta a classificare i tipi umani che gli girano attorno – di questo lui è convinto. È un lavoro tranquillo, fatto di piccole soddisfazioni, niente indagini eclatanti. Ma Arrigo conosce bene l’importanza che assumono i piccoli nel generare la grandezza dei grandi.

Non tollera svogliatezza o lentezze nell’assoluzione del proprio dovere da parte di nessuno, al commissariato. Tutti devono dar prova di dedizione, e anche il lavoro di pattuglia non deve battere la fiacca.

Solo il mese precedente aveva fatto spostare due agenti che aveva trovato a dormire in macchina durante la pattuglia notturna, perché, per loro somma sfortuna, di tanto in tanto gli capita di prendere Jeeves e andare a perlustrare la notte, inseguendo i propri pensieri in cerca di tranquillità. E lì, su una stradina sterrata che divideva due campi dove il granturco era stato lasciato alto a seccare, la pattuglia 314 dormiva con le luci spente, come una nutria gigante che si fosse stancata della vita nei fossi.

La faccia dei due agenti colti in flagrante pennichella era apparsa talmente ridicola da sfiorare la tragedia. L’espressione shockata del commissario di certo ancora li perseguita ovunque siano finiti dopo la richiesta di trasferimento immediato.

Per fortuna la sua calma zen non è solo proverbiale, è ciò che concretamente gli aveva impedito di prenderli a calci.

Om e fuori di qui.

Il confine tra la campagna e il centro abitato è una linea netta, che separa la bellezza dell’argine e dei campi dalle geometrie banali delle villette a schiera, che negli ultimi anni hanno invaso il paesaggio come la cocciniglia fa con le piante. Da qui in avanti il passo si fa più veloce, sempre, anche se Arrigo non è certo il tipo da distogliere lo sguardo davanti a un problema.

<<Jeeves, questa sera costolette d’agnello. Ho trovato una ricetta spettacolare. Per te, invece, abbiamo croccantini al gusto di anatra e patate.>>

Il cibo, da lui cucinato con cura e decorato con eleganza, è per Arrigo uno spazio dove trovare rifugio da tutto ciò che lo irrita. Quella sera avrebbe cenato sorseggiando un calice di buon rosso, con Jeeves accanto e in compagnia di una giovane fascinosa e intrigante di nome Mary Shelley. Non è facile trovare una donna interessante, libera e in carne e ossa, ultimamente.

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