Recensione | Mohamed Maalel, Baba, Accento Edizioni
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Recensione | Mohamed Maalel, Baba, Accento Edizioni

Accento Edizioni, 2023, pag 320, 16 eu

La casa editrice milanese, Accento Edizioni, fondata da Alessandro Cattelan e diretta da Matteo B. Bianchi, sfonda le barricate della narrativa laccata per dare spazio a “voci nuove e originali della narrativa, ponendo l’accento su di loro”. Tra queste c’è una voce che farà parlare di sé, quella dell’italo-tunisino Mohamed Maalel, nato in Puglia, cresciuto ad Andria e laureato a Bari. Il suo esordio, da poche settimane in libreria, si intitola “Baba”. Maalel, classe ’93, potrebbe essere uno scrittore vorace e feroce, radicale e integralista. Maalel potrebbe raccontare con il dito puntato e l’incedere di una verga, azzannando gli eufemismi. Invece la sua voce, come il suo scrivere, accarezza una mistica soave e sincera. Questo è “Baba”, che significa papà.  Ahmed, protagonista e voce narrante, cresce ad Andria, da madre pugliese e padre tunisino. Andria è il luogo in cui odori e sapori materni si mescolano nella sua infanzia, così come nell’adolescenza, a una costante richiesta di definizioni da parte del contesto. Sei italiano? E allora perché ti chiami così? Sei musulmano? E allora perché mangi il prosciutto fingendo che sia tacchino? Ahmed vive di mimetizzazioni, contiene due identità in relazione: il couscous e patate riso e cozze. La storia alterna due piani e tempi narrativi. Da una parte il viaggio tra le memorie di famiglia del protagonista in Puglia, dall’altra l’improvvisa malattia del padre una volta che il ragazzino è diventato adulto.  Non è il contesto a ospitare la doppia identità di Ahmed ma è lui che ospita le due culture, come fossero due cuori. «Ogni volta che arrivavo a Tunisi, la mia lingua sembrava narcotizzata. Non riconoscevo i gusti. (…) Di cornetti in Italia ne mangiavo tanti, ma nessuno mi lasciava dietro un ricordo. Iniziai a catalogare i ricordi in base ai cornetti mangiati a Tunisi.»

La Puglia rappresenta l’ambientazione principale della storia basata su un vissuto reale, che tocca spesso i tasti dell’autofiction, come i viaggi estivi in Tunisia e la malattia del padre che fa da controcanto al racconto familiare. «Andria è il luogo della mia memoria. È la città in cui tornare, il luogo in cui ho alimentato l’immaginazione», dice di sé l’autore. Il pensiero raggiunge un precedente letterario prezioso ma non soffocante: la storia dei Levi/Ginzburg magistralmente raccontata in “Lessico Famigliare”. Natalia Ginzburg scrive privilegiando nel romanzo il punto di vista del padre. Proprio come succede in “Baba”. (E pare incredibile che a legarli a doppio nodo ci sia anche Palermo, attuale luogo di residenza di Maalel e città natale di Ginzburg. Un auspicio buono, una corrispondenza letteraria perfetta.)

Ci si lascia incantare dalla buona cucina di nonna Raffaella, dall’ironia pugliese che rafforza i legami familiari, anche grazie all’uso mai didascalico del dialetto che compare tra i personaggi tunisini, in maniera spesso goffamente comica.

La storia di Ahmed è anche la storia della scoperta e dell’accettazione del proprio orientamento sessuale.  “Il femminile di Ahmed non esiste”, recita il titolo di uno dei capitoli toccanti del romanzo. Ahmed e sua cugina Samira giocano con le Barbie e il ragazzino inizia a farsi chiamare prima Lina e poi Ahmida. Giocare a essere splendenti, ballare sulle note della Carrà, immaginare di poter esplorare il mondo insieme come due sorelle sono desideri che si infrangono presto nell’aggressività patriarcale. «I maschi non giocano con le bambole. I maschi non giocano con le femmine. (…) I maschi sono maschi, le femmine sono femmine».  Nonostante l’intercalare di slang e di interiezioni colloquiali, lo stile e il lessico sono volutamente semplici, rendendo “Baba” un romanzo di profonda complessità. Netto come la polpa di un frutto appena raccolto. È una lettura che resta sulla pelle. Merito di una voce che sussurra il dolore con la lievità dei cuori puri. In ogni passaggio Maalel si fa carico responsabilmente di ciò che racconta, senza urlare la denuncia o stigmatizzare l’orrore. I colpevoli sono tali eppure non basta, come suggerisce il finale struggente. Maalel porta a galla una storia intima, rispettando il carico emotivo che c’è dentro. Non sfocia nella compassione, non chiede di essere amato a tutti i costi. Di questo lettori e lettrici gli sono, e gli saranno, grati e grate.

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