Recensione | Andrea Donaera, La colpa è mia, Bompiani
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Recensione | Andrea Donaera, La colpa è mia, Bompiani

Bompiani, pag 192, eu 19

Per identificare il fuoco sacro che plasma le pulsioni letterarie di Andrea Donaera è indispensabile coniare un termine speciale e specifico: l’Amorte. Tutto per esistere deve sparire. L’autore salentino si muove bene nelle questioni per lui più ardenti: l’amore, la morte e il confine sottile che li lega. Al centro della vicenda narrata ne La colpa è mia, suo terzo romanzo, c’è un giovane uomo, Bruno, che insieme alla sua fidanzata, Aby, prova ad “abitare poeticamente il mondo”. Lui è un ragazzone goffo, incompleto senza lei. Arranca nella vita quotidiana con l’incedere di un tardo adolescente, incapace di prendere decisioni, economicamente non autonomo e che davanti allo specchio ancora non si piace. Aby invece è brillante, ama la letteratura al punto da maneggiare O’Connor e Roth come fossero suoi compagni di scuola, è una ragazza pratica e sensuale, precoce in ogni aspetto anche il più feroce. La diagnosi del suo tumore al cervello,infatti, apre il romanzo. Il problema però non è tanto della giovane quanto di Bruno. «La tentazione di voltare l’angolo, andare verso la stazione, partire, scappare. (…) Vorrei che piangessimo. Almeno un po’.Vorrei crollare.» Alla storia di “amorte”, si affianca quella di Petrus, un esponente degli incel (letteralmente involuntary celibates), un gruppo di migliaia di uomini che sui social «postano foto dei loro corpi, dei loro volti, per chiedere consigli su come migliorare e diventare più appetibili per le donne.» Bruno lo incontra per un’intervista e da quel momento Petrus entra nella sua vita. Il tema dell’accettazione del dolore e della perdita si incrocia a quello dell’accettazione del
corpo e dei sentimenti senza vitalità. Perfino Lecce, dove si svolge la storia, è una città ruvida, densa di un’atmosfera apocalittica. Con voce ispirata Donaera crea una storia che ha il pregio di sussurrare il dolore, senza urlarlo. La scrittura è sonda, piccone, cesello. È lo strumento che tutto avvolge e sconvolge nei personaggi, annebbiati dall’assenza di qualcuno che si rivela una presenza irrimediabile. Donaera smuove bolle di tenerezza che scoppiano sulle miserie umane. Invita a guardarsi dentro, spalanca paure, sconfigge stereotipi benpensanti. Tra cui l’idea che la bellezza salverà il mondo. Invece, sarà il contrario.

 

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