“Per chi sono questi fiori?” – Un mio racconto su Risme
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“Per chi sono questi fiori?” – Un mio racconto su Risme

Da qualche anno, Antonia Pozzi stabiliva l’orario con un dibattito condiviso.

«Sono le 16 e 10? Sono o non sono le 16 e 10?»

Era tornata dal dottor Svevo, aspettava il suo turno nella sala d’attesa. Aveva chiesto l’orario alla donna che le sedeva accanto, dopo aver guardato più volte lo schermo del cellulare che rifletteva le 16:10.

La stanza era quadrata. Pulita ma non linda. Le sedie scomode, avevano la seduta di legno e la spalliera molto stretta irrigidiva la postura. Per cui chi attendeva il dottor Svevo appariva eternamente in tensione. Con la schiena arrampicata sugli specchi e le braccia conserte. Italo Svevo, ginecologo da oltre trent’anni, specializzato in primipare attempate, era un uomo robusto ma senza un filo di grasso. Sua moglie lo assisteva sempre durante le visite. Si chiamava Anna Banti. Era una donna formosa e docile. Si erano sposati in preda a un amore folle che avevano trasformato, dopo venti e passa anni di matrimonio, in una relazione affettiva leale ma non priva di alte e basse maree. Antonia Pozzi li conosceva da quando le era successo la prima volta. Da quando le era successo la prima volta, erano passati cinque anni.

Antonia era rimasta incantata sull’orario del display; intrecciando le dita, aveva ripetuto per la terza volta alla signora seduta al suo fianco: «Il mio orologio fa le 16 e 10 minuti. Anche il suo?». La signora era un donnone di quarant’anni, messa in piega lucida (parecchio anacronistica), denti davanti invecchiati a dispetto degli occhi liberi dalle rughette dell’età. Aveva sollevato la testa dal giornale che sfogliava per evitare che qualcuno le parlasse e, come se fosse il suo ultimo pensiero, quasi esausta, aveva annuito sbuffando: «Sì, signora. Sono le 16 e 10, glielo confermo». Subito dopo aver rivolto la parola alla Pozzi, si era alzata dalla sedia. Era il suo turno. “Tra poco saranno le 16 e 11”, avrebbe voluto aggiungere. Non lo fece per il velo di maleducazione che avrebbe dimostrato nei confronti di Antonia, e dunque si trattenne mangiandosi la lingua, pensando che un gesto non può essere esposto al giudizio come invece un pensiero a voce alta, e si era accomodata dal medico. Nella sala d’attesa l’aria condizionata mancava da anni. C’erano due ventilatori ormai cigolanti. Il caldo era diventato insopportabile, adesso non era come cinque anni fa. Adesso era estate.

Questo è l’incipit di “Per chi sono questi fiori?” che ho scritto a giugno, una storia che racconta di fiori e di sentimenti che a un certo punto diventano irriconoscibili (anche all’evidenza).
Ringrazio Sara Maria Serafini per averlo amato e reso la punta di diamante del numero nuovo della sua rivista letteraria, Risme. Chi vuol leggerlo può scaricare la rivista  qui. Chi vuol rispondere alla domanda, può farlo sempre, sarebbe bello avere un elenco di risposte possibili e impossibili alla domanda: per chi sono questi fiori?

[ L’illustrazione piena di grazia è di Pia Taccone ]

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