“Non odiare” di Serena Vinci #dopolavoroletterario n. 47
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“Non odiare” di Serena Vinci #dopolavoroletterario n. 47

Auguro molta fortuna e attenzione a Serena Vinci, piccola grande ostinata ragazza conosciuta durante un laboratorio, passato quasi inosservato mentre lei osservava eccome ed è arrivata fino a Torino, alla Holden, e poi Parigi e ancora lontano osserverà questa ragazza. “Non odiare” è il suo primo manoscritto. La protagonista, Fiammetta, compie un viaggio altrettanto ostinato alla scoperta della verità e delle menzogne di famiglia. La morte, osservata da tutte le angolazioni, è il filo rosso della vicenda. Omicidio, suicidio, avvelenamento, morte per malattia, eutanasia. Niente è indicibile, tutto merita di essere nominato, per smettere di averne paura, per smettere di fingere che non ci riguardi. Solo dopo ciò, sarà possibile risanare la ferita, tornare a casa, raccontare la propria storia attraverso quella degli altri, in un imprescindibile gioco delle parti.

Questo è l’incipit, la foto è di Gianluca Vinci.

Fiammetta

Buio.

Troppo buio. Buio pesto. Stai calma, aspetta. Respira profondamente, piano. Non tutto è buio. Non tutto è buio allo stesso modo. La finestra lo è meno dei muri, del letto, di te. E c’è la porta.

Sono dieci anni che non dormo in questa stanza, “la stanza della bambina”. Oggi durante il funerale non pensavo ad altro: stasera dormirò nel mio letto dopo tutto questo tempo.

Quante volte ho parlato al telefono con mia madre in questi anni?

Contiamo.

Una volta, quando mi ha rinfacciato di essermene andata per non affrontare la sua malattia e per non doverla accudire se ne avesse avuto bisogno.

Una volta, per informarmi che il suo ex marito – mio padre – era stato scoperto con la sua amante ventenne e che presto i pettegolezzi sulle circostanze sarebbero arrivati anche a me a mille chilometri di distanza. Fu così.

Una volta, alla mia laurea, per scusarsi di non essere venuta: stava troppo male. Gli auguri no, quelli se li è dimenticati.

Una volta, quando Violante, l’amante di mio padre, è finita sotto un tram a Roma. Mia madre non credeva alla storia che si era uccisa. Ero d’accordo con lei.

Una volta, per dirmi che sarebbe stata l’ultima volta, e che, se non avevo impegni, forse era il caso che programmassi di tornare a casa per la sua morte imminente.

E così, queste sono state le telefonate, questi i toni.

Adesso sono in casa mia, sola.

Lei è morta e mio padre vive da solo in un palazzo troppo grande e vuoto.

Violante è morta, eravamo cresciute condividendo nostro malgrado molti affetti, e ci eravamo odiate con dedizione e cura.

Da ragazzina ho desiderato spesso avere tutta la casa per me e adesso che ce l’ho, mi sembra che voglia risucchiarmi, per assorbirmi e farmi diventare parte di sé. La nostalgia di casa per me è stata la nostalgia di cose inanimate, che hanno sempre evocato i sentimenti e i ricordi più forti, nella loro fissità e non mutevolezza.

I muri, per esempio, tappezzati di foto e dipinti.

Il buio delle cornici, fermo e costante; quello delle foto contenute in esse, incerto e mobile, che tende a schiarirsi nelle pieghe dei volti; quello brillante e regale delle pennellate a olio dei dipinti.

I disegni delle venature del marmo, demoni cornuti con i volti distorti da un ghigno infernale: questo è ciò che ricordo della chiesa in cui oggi ho detto addio a mia madre.

Oggi. Ma domani?

Oggi gli occhiali da sole e il rito funebre mi hanno protetta dagli sguardi, dai commenti e dalle curiosità dei miei compaesani, domani sarò nuda. Ognuno di loro si sentirà in diritto di esplicitare la domanda a cui tiene di più.

I pragmatici vorranno sapere se “ho fatto carriera” al Nord, perché i loro figli non l’hanno fatta qui al Sud e sperano in un mio fallimento, per poter dormire sonni tranquilli.

Gli analitici mi chiederanno perché non sono mai tornata al paese in questi anni, storcendo il naso con disprezzo mal celato, perché quelli che vanno via devono per forza appartenere a una di queste categorie: irresponsabili, nevrotici, dannati.

I naturalisti si informeranno su quando ho intenzione di sposarmi e fare un figlio e noteranno che peccato che non l’hai fatto prima quando c’era ancora tua madre.

I tradizionalisti, invece, vorranno farmi le condoglianze e ricordare con me qualche episodio glorioso della vita di mia madre come donna, come professoressa o come mamma. E io odierò questi più di tutti.

Ma questo succederà domani. Adesso posso ancora nascondermi nella mia notte tra le diverse gradazioni di buio.

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