“Le mie Madeleine: Alla ricerca del Chaos perduto”
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“Le mie Madeleine: Alla ricerca del Chaos perduto”

La capacità di prendere la forma dell’acqua, di adattarsi ai cambiamenti nel senso di trasformarsi, è una delle doti che riconosco alle persone creative. La mia fortuna è che continuo a incontrarle per la mia strada. E la fortuna non è quella di essere coinvolta nei progetti ma di sentirsi coinvolta. Ho partecipato a Come LAria solo perché mi sono sentita a casa (di questi tempi, non è poco).
Da oggi trovate “Come laria“, edito Les Flâneurs Edizioni sul sito dell’editore https://www.lesflaneursedizioni.it/product/come-laria/ e su Amazon https://amzn.to/2V4LvyQ.

“Le mie Madeleine: Alla ricerca del Chaos perduto”

Chissà se Marcel Proust prima di inventare le sue Madeleine avesse fame. A voler ragionare in modo parossistico, cioè entrando nella mente dello scrittore francese, mi viene da rispondere: “Sì, Proust aveva fame prima di scrivere le sue Madeleine”. Altrimenti non le avrebbe manco viste (a livello creativo) se non avesse provato tutta quella fame. La loro assenza ha provocato la mancanza e dunque il sentimento madeleiniano. Per Proust quei dolcetti rappresentano la vita quotidiana, quei momenti di trascurabile felicità che si sbattono in faccia quando meno li aspettiamo. Le Madeleine sono tutto ciò che ci manca senza accorgercene. Una sorta di mancanza inconsapevole: un odore, una mezza voce, un gesto ci ricordano che siamo stati felici in pochi istanti trascurati, sepolti i miliardi di momenti in cui è molto più difficile esserlo.

Quali sono i momenti di trascurabile felicità mi mancano? E chi lo sa. Tutto, mi viene da dire. Solo quando tornerò a essere una persona, se non quella che ero, almeno quella che diventerò, capirò cosa realmente mi manca. Al momento mi manca, in modo molto preciso, il caos. Quel caos bello, quotidiano, quello che non sai raddrizzare, quello che stressa, quello che ti fa fare tardi agli impegni, ti fa perfino dimenticare di richiamare qualcuno, quello che ti fa scegliere tra una cosa e un’altra. Le mie madeleine sono i ricordi di giornate che non bastavano 24 ore, la speranza di poter essere libera nel weekend, il desiderio di mandare al diavolo qualcosa per dedicarmi al nulla da fare.

Erano felici quei momenti trascurabili in cui agivo nel Caos. Anzi, in cui era lui a decidere cosa dovessi fare prima. Quel Caos che fa creare. Non ho impulso creativo senza (un minimo) di caos. Non intendo confusione, casino, disordine, pasticcio o baraonda. Intendo CAOS. L’etimologia lo mostra forte e chiaro: il termine greco antico “χάος, Chaos” contiene l’ “essere aperto” e la “voragine”. Apertura e voragine sono spazi da riempire, se vengono riempiti dal vuoto odierno si perde la bussola. Molti, tantissimi, autori e autrici non riescono più a leggere e a scrivere. Non sono concentrati. Una delle ragioni, potrebbe essere, la mancanza di Caos. Giornate tutte uguali destabilizzano il fare. La scrittura, ad esempio, nasce da un burrone abissale che oggi sento venir meno e che “nella vita precedente” vivevo come un ostacolo. Invece, era la mia linfa creativa. Quando hai tanto da fare, riesci a fare tutto. Quando non c’è niente da fare, ti smarrisci e finisci le giornate incompiute come incompiuto è il tuo essere al mondo. Farò caso al Caos quando tornerà. Lo ringrazierò, lo benedirò. Non avrò più paura di non essere alla sua altezza. Sarò di nuovo felice, magari quando qualcuno mi farà notare di aver dimenticato una ricorrenza e io penserò: mannaggia al Caos!

In “Alla ricerca del tempo perduto”, Proust scrive: “L’abitudine ordinatrice abile ma terribilmente lenta, che comincia con il lasciar soffrire il nostro spirito, per settimane, in una sistemazione provvisoria; ma che, nonostante tutto, esso è ben contento di incontrare, giacché senza l’abitudine, e ridotto ai suoi soli mezzi, sarebbe impotente a renderci abitabile una casa.” Quanto ho trascurato l’abitudine felice del Caos creatore! Forse succederà ancora, quando sarò così impegnata a portare a termine la giornata da non accorgermi che la giornata è finita da un pezzo. Ricorderò i miei occhi stanchi di non aver visto niente neanche oggi, occhi pesanti come quelli che stanno scrivendo in questo momento. Per molto tempo non mi sono coricata presto la sera. Ho viaggiato, preso treni, atteso aerei, consegnato al limite della rincorsa testi, progetti, lezioni. Per molto tempo non mi sono coricata presto la sera, momenti di trascurabile felicità che torneranno. Non vedo l’ora.

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