La vita inedita di una scrittrice #34
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La vita inedita di una scrittrice #34

Se Holly Golightly aveva i momenti Tiffany, io ho i momenti rogermoore. Mi riferisco a una scena di “Lost in translation”, un film di Sofia Coppola che amo da 15 anni cioè da quando esiste. Una storia silenziosa che riesce comunque in due ore ad avere più dialoghi di quanti ne abbia io durante una settimana (se non lavoro).

Insomma, c’è Bill Murray (l’unico uomo al mondo capace di interpretare un celibe involontario meglio di un involontario celibe reale) che interpreta Bob, un attore in declino che sbarca in Giappone per girare uno spot. Bob/Bill non capisce niente di quello che gli dice la troupe. Non conosce la lingua in cui gli parlano e per buona parte del film annuisce per non avere rogne e poi scruta il vuoto che dall’esterno investe il suo interno.

Poco prima che Bob incontri Charlotte, c’è il momento rogermoore. Bob/Bill si trova sul set, vestito di nero, elegante, devono scattargli delle foto per lo spot. Gli dicono di muoversi, lui è inerme. Gli fanno cenno di muoversi, lui è inerme. A un certo punto il fotografo giapponese sbiascica un grugnito: rogmaar, rogemor, rogermoore. Il suo è un tentativo goffo e imbarazzante di far capire al Nostro che deve atteggiarsi a figo. Figo come Roger Moore in 007. Quando Bob/Bill capisce, cerca di ribattere dicendo che preferisce Sean Connery. Ma, lost in translation, il giapponese non capisce. Allora Bob/Bill lascia perdere e sorride come rogermoore. Qualsiasi cosa rogermoore significhi.

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