Cicchetti n. 6, Goffredo Parise, “Il padrone”
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Cicchetti n. 6, Goffredo Parise, “Il padrone”

Di questi oranghi si dice che siano tristi per il loro stato di prigionia, per la nostalgia delle origini e della libera esistenza nelle foreste. Ma non è vero. L’orango diventa triste per la lunga consuetudine all’uomo, per la dimestichezza con quei tratti fisici che tanto somigliano ai suoi, per il desiderio oscuro di diventare anch’esso un uomo.

In tanti anni di meccanica imitazione l’orango incomincia a intuirne i privilegi, i ricordi ancestrali della naturale libertà nella foresta svaniscono e l’orango comincia a sperare in un futuro non lontano in cui le sbarre verranno tolte e esso potrà far parte di quella società multicolore che sfila davanti ai suoi occhi dal mattino fino alla sera e di cui ha imparato oramai tutti i comportamenti civili.

Siccome è il più vecchio e dunque l’esemplare di maggiore esperienza, comincia a disprezzare gli individui della sua stessa specie, quasi che la speranza stesse per diventare realtà.  Ma col passare del tempo la speranza è delusa, l’orango si sente fisicamente indebolito, intuisce che la morte è vicina e non avrà mai nell’occhio la limpidezza e la profondità che tanto lo attirano, che quelle sue affinità somatiche non erano che un’illusione: si lascia andare, le blatte si moltiplicano indisturbate su di lui, non accetta più nulla di quanto gli uomini gli offrono se non quanto è necessario a mantenersi in vita, la curiosità si affievolisce e sta per svanire, il sedere si riempie di piaghe ed egli stesso sente che null’altro gli rimane se non l’esibizione dell’oscenità  di cui tanto si era vergognato nei primi anni di zoo.

 

Goffredo Parise, Il padrone (Mark Ryden – The Tree Show)

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