#tipedaspiaggia – Ragazze e libri per l’estate
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#tipedaspiaggia – Ragazze e libri per l’estate

Dopo il grande boom! della prima serie di #tipedaspiaggia, ecco a voi la seconda serie, spiagge e scrittrici per le vostre letture a cielo aperto. Buona lettura e buon bagno!
(Se #tipedaspiaggia vi piace, condividete citazioni tratte da questi libri, fotografati rigorosamente sulla spiaggia.) Articolo pubblicato su Exlibris20
  • La lavoratriceElvira Navarro, LiberAria, trad. Sara Papini
    (Spiaggia Capitolo, Monopoli)

Se “lavorare stanca”, il precariato anestetizza. Tra le storie che vale la pena leggere sulla precarietà lavorativa, tema abusato in quanto inestirpabile radice velenosa della società, c’è la storia di Elisa e Susana. Entrambe precarie, la prima è costretta a lavorare da casa in seguito allo sfacelo dell’ambiente editoriale; la seconda è una 44enne teutonica, che dimostra meno anni della sua età: precaria (call center) con velleità artistiche (compone mosaici ridisegnando le strade di Madrid e utilizzando i ritagli, anche minuscoli, di giornale). Sono due donne sane, è la precarietà che le rende pazze. Terza protagonista della storia è Madrid, smisurata e periferica, in cui Elisa si (dis)perde per allentare la nausea del lavoro. La lavoratrice di Elvira Navarro, per la prima volta tradotta in Italia e inserita, nel 2010, tra i migliori narratori spagnoli dalla rivista Granta è una storia che appassiona lentamente, si infila dentro come un morbo pericoloso ma inevitabile. Leggendolo sulla spiaggia di Capitolo, lunga e sabbiosa, tra le più assaltate dai turisti, ho avuto l’impressione di attraversare la quarta parete che distingue la vita dalla follia, ammesso che la distinzione sia realmente possibile.

  • KhalatGiulia Pex, Hoppipolla Edizioni
    (Spiaggia di Torre Canne).

Quando tutto iniziò mi trovavo in biblioteca. Prima furono solo canti lontani. Poi sempre più forti. Alla fine le grida e gli spari.” Khalat, passaporto siriano, nazionalità curda, è una ragazza di quasi 20 anni. In seguito alle vicende del suo Paese si trasferisce da Qamishli (Siria), dove vivono i genitori e la famiglia del fratello, a Damasco per frequentare l’università. Da questo momento la sua vicenda si trasforma in un racconto ibrido e per certi versi magico. È un romanzo illustrato ma anche un diario di viaggio. È una storia vera, ambientata in Siria, ispirato a un racconto di Davide Coltri (in Dov’è casa mia, minimumfax). “Avevo imparato sin dai tempi della scuola elementare che il curdo doveva essere la mia lingua segreta“. Mi ha colpito di questo libro il tratto delle illustrazioni (scure ma mai lugubri o scontate, i volti come annegati nei colori) e la capacità di dire tanto (guerra, lutti, partenze) in poche battute. Khalat a dispetto delle apparenze è una storia che riguarda tutti noi quando siamo obbligati e scegliere tra compromessi e incertezza. Una lettura lieve e delicata, attraversata dalla poesia (molte le citazioni di Prévert), che rende un pomeriggio sulla spiaggia meno scontato del solito.

Antonia Pozzi è stata una poetessa italiana che a 26 anni sul prato antistante l’Abbazia di Chiaravalle, a sud di Milano (città dove era nata), ingoiò un quantitativo di barbiturici sufficiente per liberarsi dalla sua disperazione e morire. La ricordano in pochi. Per questo il nuovo volume a lei dedicato è un raggio di sole che non brucia ma illumina. Nella prefazione la curatrice, Elisa Ruotolo, racconta la poetessa con parole impeccabili: “Da lei ho imparato che si può perdere definitivamente solo ciò che veramente si ama, mentre si torna e si rimedia sempre a quello che ci è caro con ragionevolezza.” Una lettura perfetta per essere distillata tra un tuffo e un altro in una piccola minuta caletta, tagliata dagli scogli e dalla vegetazione spontanea, piena di una bellezza senza trucco e piena di mistero come le parole di Antonia.

Se mia madre quel giorno avesse saputo che non mi avrebbe più rivisto, non mi avrebbe permesso di aprire l’uscio di casa. La conoscevo troppo bene. Mi avrebbe trattenuto e, se non l’avessi ascoltata, mi avrebbe legato stretto stretto, incatenato.” Musica sull’abisso è una storia magnetica, a cominciare dall’incipit. Marilù Oliva è la più brava, secondo me, a raccontare la vita interiore dei ragazzini. Sa scrivere thriller senza dimenticare di essere in Italia, senza abbandonare le sue visioni autoriali e senza caricare di inutile pathos blasonato lo schifo di cui è capace il genere umano. Soprattutto quando si tratta di minori, la meglio gioventù a cui si vuole bene, anche nel male. Il romanzo comincia proprio con la voce di uno di loro che scrive alla madre immaginando di non essere morto. Mentre le voci collegate al passato compongono una storia di sopraffazioni e ferocia, Micol Medici, adorabile ispettrice naïf conosciuta nel precedente Le spose sepolte, con il suo metodo scientifico sporcato dall’inquietudine dei suoi sogni notturni, cerca di scoprire cosa si nasconde dietro una torre di Babele di fantasmi e sangue. L’ho letto nella spiaggia più fredda della zona trovando la pace dal caldo torrido dentro un mare gelido, un abisso senza mezze misure.

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