“Dolce, non troppo” di Ketty Zotti – #dopolavoroletterario n. 43
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“Dolce, non troppo” di Ketty Zotti – #dopolavoroletterario n. 43

All’interno del Laboratorio di Storytelling che quest’anno ho tenuto nella Biblioteca della Facoltà di Agraria,
abbiamo lavorato sulle storie che nascono dalle nostre percezioni e dai nostri ricordi,volontari e invoontari.

Tra i testi che sono venuti fuori, quello di Ketty rappresenta un esempio di scrittura espressiva che partendo dal racconto del sé avvolge chi legge.

Questo è l’incipit del tuo testo, dove è possibile già rintracciare “le visioni” dell’autrice.

(Foto dell’autrice)

Dolce, non troppo

di Ketty Zotti

 

Parigi, notte. Il rumore di tacchi discontinuo risuona prepotentemente nelle strade quasi deserte, dissolvendo la cortina di mendace silenzio che avvolge la città. La donna traballa sulle scarpe troppo alte. Sul suo corsetto nero un leggero strappo all’altezza del cuore sembra evocare una pena oscura.

Cammina lentamente, instancabile, come se non potesse far altro che camminare.

Il suo sguardo si perde nel vuoto, allucinato e privo di speranza. Non è giovanissima, né irresistibilmente bella; sul suo viso due profonde rughe agli angoli della bocca tracciano il percorso di quella sofferenza sopita.

Inciampa, cade. Un uomo le passa accanto. Lei si rialza da sola. Lui torna indietro, ne resta stregato, una forza magnetizzante lo trattiene.

Riprendono a camminare, vicini, senza dirsi una parola. Lei non appare turbata, né impaurita. Il loro incedere lento e senza sosta pare scandire un tempo lungo, eterno, che non conosce gioia, non conosce amore.

Entrano in un bar.

L’uomo è visibilmente teso. La seducente donna ostenta un’aria annoiata.

Una luce calda avvolge l’ambiente.

La donna indossa abiti luminosi e sfarzosi quasi al limite del volgare. Grandi fiocchi rossi decorano le sue scarpe. I vestiti dell’uomo sono consunti, sporchi. La barba troppo lunga gli conferisce un’aria molto dimessa, il suo viso mostra i segni della sua vita sregolata e dall’eccessivo consumo di alcool.

Dalla radio, in sordina, giunge la malinconica lirica de “Que reste-t-il- de nos amours?”, offerta dalla suadente voce di Dalida.

Bevi qualcosa?”. Lei ha una voce roca, che lascia pensare a quella pena oscura.

Non mangi?” le domanda evitando di risponderle.

C’è tempo!”

Caffè?”, le chiede.

Dolce, non troppo”, gli risponde asciutta.

I loro sguardi si incontrano, rendendo vano ogni ricorso alle parole.

 

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