“Conforme alla gloria” il 17 e il 18 dicembre a Bari per #bibart
2777
post-template-default,single,single-post,postid-2777,single-format-standard,bridge-core-2.4.7,ajax_fade,page_not_loaded,,qode-title-hidden,qode-theme-ver-23.5,qode-theme-bridge,wpb-js-composer js-comp-ver-6.5.0,vc_responsive

“Conforme alla gloria” il 17 e il 18 dicembre a Bari per #bibart

Il secondo romanzo di Demetrio Paolin si intitola “Conforme alla Gloria”, l’ha pubblicato Voland a marzo ed è stato tra i dodici candidati al Premio Strega 2016. Io, questo romanzo, l’ho letto anni fa in bozza. La prima cosa che ho letto è stato l’incipit, chiaro. Ecco, dopo che l’ho letto non ho pensato ad altro. Per giorni. Forse non ho mai smesso di pensarci. Questo è il motivo per cui consiglio di leggere questo romanzo, per portarlo con sé.  Provateci.

Sabato 17 dicembre presentiamo per la prima volta a Bari, Conforme alla gloria. Ecco l’evento che rientra nel cartellone di BIBART. Mentre il 18 dicembre sarà a Molfetta, Libreria Il Ghigno.

(Di seguito un estratto dell’incipit)

“La bellezza del corpo è tutta nella pelle.” Oddone di Cluny

Io sono la bambola con la bocca piena di pane. La mia pelle si è indurita come il guscio di un uovo. Io sono la donna che tace: il mio corpo sente la fame, che non è umana, ma e un verme che divora.

Nelle notti io sogno il pane nero, bianco, di segale, di farina di mais, di frumento, alle cipolle, al rosmarino, con l’olio, con le olive; il pane caldo appena tolto dal forno – i forni accesi hanno una fiamma gialla e luminosa, il camino è una scia lunga e grigia come uno stormo di uccelli. La mia fame mi fa masticare a vuoto. I denti si consumano: li digrigno mangiando un cibo che non c’è. 

La gola deglutisce come il fumatore assapora il fumo e il corpo si ribella all’immaginazione: niente arriva allo stomaco che si contorce e scalpita; l’intestino dà spasmi dolenti come uno sciame d’api a bucarmi la pancia. Come me le altre compagne sono fantasmi e il nostro corpo si scioglie in merda. Raggiungo la latrina al fondo dello stanzone freddo: c’è un secchio pieno di feci liquide e mi chino; piego leggermente le gambe, quel tanto che basta per riuscire a tornare in piedi. Isabel si è piegata troppo e le gambe le si sono aperte. Ha rovesciato i liquami del secchio e l’hanno bastonata, costringendola a leccare tutto. Io piego il meno possibile le ginocchia e sento il deposito correre lungo le gambe. La stanza delle kapò ha la stufa e una piccola lampada che fa luce. Così ho visto sul tavolo un cesto di pane, bianco e fresco.

Non la muffa che danno a noi; questo è pane vero, che mangiato non si disfa come un diavolo in bocca, ma nutre e calma il verme. Rachel è seduta al tavolo e sta tagliandosene una fetta, il coltello entra nel pane con dolcezza, attraversa la sottile crosta e poi la mollica soffice.

Io la guardo mentre il pane entra nella sua bocca sottile e lei al quel punto si accorge di me. La vedo alzarsi, mentre continua a masticare. Sembra una mucca. Allunga la mano verso di me, io chiudo gli occhi, ma lei mi alza. Mi porta nella stanza e taglia una fetta di pane enorme.

Le sue mani vanno sotto la mia casacca. Io sento il pane.

La notte se chiudo gli occhi sogno la selezione.

Siamo in fila io e le mie compagne. Passiamo davanti ad alcuni uomini. Poi ci mandano a destra o a sinistra. Vengo messa a sinistra: le mie compagne sono scheletri morenti. Io no.

Quando la selezione finisce andiamo nella baracca. Alcune hanno in sé un sentimento di gioia feroce, altre una rassegnazione senza scampo. Entrano le SS, chiamano i numeri e prelevano. Quando mi chiamano, faccio per alzarmi ma vedo che portano via una zingara, che era finita a destra. Lei era salva. Io mi alzo comunque, ma loro sono già usciti. Hanno preso lei e non me. Subito dopo nella frenesia della baracca, arriva un uomo, uno di quelli della commissione, che mi offre da fumare.

Io non avevo mai fumato, prima di arrivare qui. Prima di arrivare qui non credevo di fare tante cose che ho poi fatto.

Grazie a lui sono nella Casa e bevo molto. L’alcol e il fumo sostituiscono il pane, che mangerei sempre, ma non posso. Alla Casa dicono che devo essere piacente. Io devo piacere. Nella camera: ci sono un letto e un comodino. Io mi spoglio e il cliente mi prende. Io non sento niente, penso al gusto del pane e al vino che berrò e alle sigarette che mi lascerà a fine lavoro.

Quando tutto finisce e ci buttiamo nei letti mezze ubriache, io sogno la selezione. Sogno la ragazza che e morta al posto mio. Io sono viva perché lei e morta per me. Io sono qui e mi sono fatta complice. Tutte noi della Casa moriremo, perché abbiamo visto.

Io morirò e questo ricade su di voi, è la mia maledizione, il mio ultimo inciampo d’essere umano, prima di trasformarmi in altro. Io sono l’immagine ultima che vedrete prima di addormentarvi, io sono ciò che non è più.

C’è stato un tempo in cui ero prigioniera, e mi sono fatta serva.

No Comments

Sorry, the comment form is closed at this time.