Cicchetti #1
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Cicchetti #1

“Il silenzio non è una pausa che s’inserisce quando si parla, ma un fatto in sé. Quando non si parla mai di sé stessi, non si discorre molto. Uno faceva sentire la propria presenza quanto più era in grado di tacere. A casa, come tutti, avevo imparato anch’io a interpretare nell’altro il movimento delle rughe del viso, delle vene sul collo, delle narici o degli angoli della bocca, del monto o delle dita, e non mi aspettavo che parlasse.
Nel silenzio generale che regnava nella casa, gli occhi di ognuno di noi avevano imparato a conoscere lo stato d’animo dell’altro. Ascoltavamo più con gli occhi che non con gli orecchi. Era nato un piacevole stato di lentezza, un sovraccaricarsi delle cose che si trascinavano e che noi ci portavamo dietro.

Le parole non hanno un peso simile perché non si fermano. Subito dopo aver finito di parlare, appena dette, le parole sono già mute. E si lasciano dire solo singolarmente, una dopo l’altra. A ogni frase tocca il suo turno solo quando è finita quella prima. Invece quando si tace viene fuori tutto insieme, e vi resta attaccato tutto quello che da lungo tempo non è stato detto, perfino ciò che non verrà mai detto. E’ una condizione più stabile che si racchiude in sé stessa. E il parlare è un filo che si spezza e che deve essere sempre riannodato.

Quando arrivai in città mi meravigliai di quanto parlassero le persone, per sentire sé stesse, per essere amiche o nemiche le une delle altre, per dare o ottenere qualcosa. E soprattutto di quanto si lamentassero quando parlavano di sé stesse. Nella maggior parte dei loro discorsi si coglieva l’abbinamento continuo di arroganza e autocommiserazione, tutto il corpo era mosso da un atteggiamento narcisista. Se ne andavano in giro con quel loro io sulla bocca, trito e ritrito. […]

Avevo bisogno di una spiegazione e scelsi la più semplice: quando i piedi poggiano su un terreno liscio, la lingua può o deve parlare senza avere pensieri nella testa.”

Herta Muller, Il fiore rosso e il bastone

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