LIBERARIA: INTERVISTA AD ALESSANDRA MINERVINI
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LIBERARIA: INTERVISTA AD ALESSANDRA MINERVINI

Chi è un editor, cosa fa, come gestisce il rapporto con gli autori. L’agenzia letteraria Studio Garamond ha dialogato con Alessandra Minervini della casa editrice LiberAria

L’editor: qual è il suo percorso professionale e come si inserisce all’interno di Liberaria?
Dieci anni fa, dopo il master di narrazione della Scuola Holden, ho iniziato a collaborare come consulente della scuola occupandomi di progetti editoriali (corsi di scrittura, concorsi narrativi e scouting). Tutto questo a Torino e un po’ in tutta Italia, di recente anche all’estero. A un certo punto della mia vita, ho deciso di tornare a Bari, non so bene il motivo. In ogni caso è qui che, due anni fa, ho conosciuto Giorgia Antonelli, fondatrice di LiberAria, che mi ha chiesto di costruire insieme a lei quella che ora è la casa editrice.

Com’è strutturato il suo lavoro in redazione? Ci illustri brevemente la giornata tipo.
La mia giornata tipo non esiste. Sono un editor, lavoro con chi scrive e chi scrive lo fa sempre. Anche quando dorme. Non ho orari, non ho giorni stabiliti. Chi lavora con la scrittura sa bene che questo lavoro è sempre con te a volte in modo persecutorio altre volte, direi la maggior parte, in modo compensativo. Come se le storie compensassero quello che manca o può mancare di più materiale nella vita. E questo è un effetto benefico. Il miracolo dei libri. Lavorare a un buon libro è ossigenante. In particolare, per LiberAria, mi occupo della narrativa italiana della collana MEDUSE (http://www.liberaria.it/web/collane/meduse). Anche se al momento, in realtà, sto lavorando a un saggio per i METRONOMI (http://www.liberaria.it/web/collane/metronomi), il cui editing mi mette di buonumore, anche se parla di quattro famosi suicidi italiani…

Quali sono le competenze e le linee guida da seguire quando si lavora con un manoscritto?
L’editor è una persona che fa in modo che un’altra persona scriva ovvero che metta fuori il suo mondo interiore, metaforicamente e no. Quindi l’unica competenza valida è l’empatia. Senza quella non si può fare questo lavoro. (Forse si può scrivere. Non lo so. Non credo che tutti gli scrittori sentano il mondo in modo totalizzante. Ma chi lo fa, ne sono sicura, scrive bene ovvero inventa storie e personaggi eterni). Per scrivere si uccide ciò che si ama e, per questo, l’editor ha il dover etico e la forza morale di aiutare lo scrittore a elaborare il lutto. Come si può farlo senza una innata empatia?

Cos’è, per lei, l’editoria?
Non lo so, non frequento il mondo dell’editoria.

Autore e libro ideale?
Non ho autori o libri ideali. Scelgo tutto con il cuore e l’istinto. Certo, a volte mi posso sbagliare. E meno male! Di solito mi piace lavorare con autori concentrati sulla storia che vogliono raccontare senza esserlo troppo su se stessi. Non sopporto le manie di protagonismo. Le trovo una forma di insicurezza che nuoce alla scrittura. Chi è insicuro, non scrive storie interessanti. Per quanto riguarda i libri ideali, invece, quelli che mi piacciono di più sono quelli che al loro interno contengono una o più visioni. Se non vedo, non credo, mi viene da dire. Ovvero, le storie le trame gli stili sono tutti aspetti della scrittura migliorabili; ma la visione narrativa è l’unica cifra del talento di un autore.

C’è qualche storia su cui vorrebbe lavorare come editor?
Mi piacerebbe molto lavorare su una storia pugliese. Non sono ancora riuscita a trovare qualcosa che mi abbia toccato nel profondo. Ma la ricerca è appena iniziata. Sono sicura che troverò una storia con una visione pugliese che mi colpirà. Questo è (anche) un appello, SÌ.

Rapporto editor-autore: qual è il suo commento e la sua esperienza a riguardo?
È un cortocircuito. C’è spesso tensione, non per forza negativa. C’è corrente. E c’è anche tanta resistenza. Pian piano si (ri)mettono insieme i fili e, in un certo senso, ritorna la luce. Ovvero, il romanzo finisce. E un romanzo per me può dirsi finito solo quando piace a chi l’ha scritto. Terminata la fase di ri-scrittura, il rapporto editor/scrittore inevitabilmente cambia. Matura, in bene o in male. Non sono poche le frustrazioni, lo ammetto, di vedere una storia che tu hai seguito fare vita a sé (per quanto sia questo il percorso doveroso e lecito). Ma la gioia di scoprire, di mettere al mondo anche solo uno scrittore o una scrittrice ripaga di tutto.

Come giudica la sua figura professionale e quali sono le maggiori difficoltà per un editor oggi in relazione alla crisi dell’editoria?
Dal punto di vista dell’editor, che è poi il mio, la crisi è diventata tale da codificare un genere letterario specifico che investe tutto il mondo letterario: il genere CRISI. Non intesa come l’esistenzialismo o l’immalinconire di certa pregiata tradizione letteraria italiana. Non crisi come arricchimento dello stile, delle storie, dei personaggi. Come sbriciolamento delle certezze, perfino del linguaggio. Ma crisi come fretta, come urgenza di vendere e dunque di sbrigarsi. La crisi investe il mio lavoro nel senso che può obbligare a scegliere determinati romanzi alla moda obbedendo al famoso detto “dare al pubblico quello che vuole” (valeva per la tv, ora vale moltissimo per i libri purtroppo). Per fortuna a me non capita. Io posso scegliere i romanzi di LiberAria con versatilità e onestà. Viaggiamo su numeri piccoli. Nell’editore piccolo, c’è il libro buono.

Cartaceo e/o Ebook: qual è la sua opinione?
Il digitale sta diventando, soprattutto in Italia, il rifugio delle storie brevi. Anche noi abbiamo una collana in questo senso, si chiama i SINGOLARI (http://www.liberaria.it/web/collane/singolari). A parte questo, credo che non ci sia nessuna differenza editoriale e/o di contenuto. Anzi, il digitale doveva essere inventato molto prima! Quanti vantaggi avrebbero avuto, all’epoca, i lettori di Proust se il suo editore avesse pubblicato la Recherche in digitale? A parte questa esagerazione, che poi neanche tanto, io di una cosa sono certa: una storia non è meno bella se la leggi su carta o sul kindle.

Tre consigli per un autore esordiente.
Il primo è un monito: non pubblicare mai a pagamento. Il secondo un augurio: non smettere mai di (ri)scrivere. Il terzo un mantra: non rinunciare mai alla tua storia.

 

aricolo di Studio Garamond | 15 ottobre 2014

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